L’articolo di oggi tratterà una strana entità che ci abita e che si forma nei nostri primi anni, ma che non ci rappresenta completamente: l’ego.
Nonostante la parola stessa ci possa ingannare, l’ego è solamente una frazione di ciò che siamo e non è necessario lasciarlo comandare. Ma per potercene liberare, almeno parzialmente, abbiamo prima bisogno di conoscerlo bene.
Chi è l’ego?
Indubbiamente possiamo essere d’accordo sul fatto che questo termine sia una delle parole “psicologiche” più conosciute e utilizzate. Tutti noi, almeno una volta, hanno sentito qualcuno parlare di ego. Magari proprio del nostro e in quel caso probabilmente non è stata una bella situazione.
Sono rari, infatti, i casi in cui l’ego al comando porti a buoni risultati. Io stesso, che ne ho uno piuttosto ingombrante grazie a un’eccessiva autostima, non ne conosco molti.
Ma rispondiamo alla domanda.
Ego, nella pratica, significa io. Nel contesto psicologico è quell’identità che ci creiamo per comprenderci come separati dagli altri.
Mi spiego meglio: prendiamo tutto ciò che crediamo rispetto alla nostra personalità, abilità e talenti… e abbiamo la struttura del nostro ego.
Fino a qui, nessun problema, apparentemente. Ma facciamo un viaggetto nel tempo per capire come si forma questa finta identità. Non preoccuparti, capirai subito perché dico finta.
I nostri primi passi nel mondo
Quando nasciamo, siamo piccoli e non abbiamo nessun interesse ad avere un’immagine di noi che intendiamo proiettare agli occhi degli altri. A malapena respiriamo!
In quel periodo non ci sentiamo separati dal resto del mondo. È un eterno presente in cui la serenità dell’esplorazione si interrompe solo con la fame o con la paura. Appena risolte quelle, torniamo in pace.
Dopo un po’ di tempo ci accorgiamo che mamma e papà danno nomi alle cose. Anche a noi. Così impariamo parole semplici come mamma, pappa e simili e riceviamo tanti complimenti.
Il nostro cervello dunque impara che dare un nome alle cose equivale a un premio. Continuiamo, dunque, fino a dire il nostro nome.
Super-premio e inizio della costruzione dell’ego. In fondo noi siamo quel nome, o meglio ci identifichiamo con esso. All’inizio in terza persona (“Elisa ha sete”, “Severino deve fare pipì”), poi piano piano in prima (“io”).
Dall’essere al possedere
Quante lettere separano io da mio? L’uso degli oggetti, nel tempo, si trasforma da un processo di etichettatura a un gioco di possesso. Chi di noi non ha avuto un gioco preferito? Io avevo il mio Coccolino, per esempio! Quando mi levavano Coccolino, naturalmente, piangevo e mi disperavo (in realtà piangevo e mi disperavo per una marea di insulse ragioni).
Avevo cominciato a selezionare gli oggetti: alcuni mi rendevano felice, altri indifferente, altri mi davano sensazioni spiacevoli.
Alcuni oggetti assomigliavano di più a “io”.
Cosa succede quando io finisce inevitabilmente per confrontarsi con gli altri “io”? Di tutto, naturalmente.
Ci saranno interazioni che interferiscono con la pace, altre che danno estremo piacere ed è un continuo ridefinirsi di comportamenti su parametri inizialmente sconosciuti:
- Il mio amico ha un gioco che non ho, mi sento inferiore
- Faccio i capricci per ottenerlo e mi offendo se non funziona
- Mi sento superiore se ho un gioco che un mio amico non ha
Dagli oggetti, poi, si passa a cose immateriali: l’attenzione degli altri, per esempio. E tutto va bene finché, per esempio, si comincia a camminare.
Ogni passo infatti è un miracolo che tutti celebrano con ogni tipo di complimenti: foto, applausi e urletti di gioia. Da quel momento, allora, si cominciano a provare altri “numeri”… ma non tutti vanno a buon fine. La testata al fratellino o la spinta, per esempio, causano rimproveri. Dunque non tutte le attenzioni sono positive.
La spinta dell’ego a conformarsi
Naturalmente i complimenti sono meglio dei rimproveri, così si impara cosa va bene e cosa no, iniziando con un po’ di autocontrollo. Da quel punto in poi comincia a contare moltissimo quello che vedono gli altri. Si esce dal mondo interiore e comincia a far contare di più come si appare all’esterno.
Da qui arrivano ulteriori distorsioni, causate proprio dal comportamento altrui: non tutto infatti causa le stesse reazioni dopo un po’. Alcune cose infatti diventano scontate e, per tornare al centro dell’attenzione, si comincia a puntare su scelte che richiamano il focus immediato ma che non sempre sono scelte utili.
Essere ignorati non è mai una bella sensazione e, quando non si conoscono metodi migliori, l’attenzione degli altri che ormai è così importante va guadagnata in qualche modo.
E poi l’adolescenza con il dominio del gruppo di appartenenza sui desideri singoli, e poi la vita adulta con le aspettative della società e del mondo del lavoro.
Si finisce per dimenticarsi delle emozioni, magari per diventare “persone serie”, finendo per lasciar andare perfino l’empatia. Arrivati a questo punto, come avrai intuito, un’enormità di questi comportamenti e meccanismi è stata allenata per decenni e sarà dunque difficile da sradicare.
Ma è un processo necessario.
Ora ti dico perché.
Le nostre maschere
Ogni ruolo che interpretiamo nella nostra vita necessita di una maschera e, dentro di noi, ne albergano tantissime: abbiamo il nostro “io” giocherellone, quello rabbioso, quello che vuole sempre mettere a posto tutto, quello menefreghista, quello bambino che ha bisogno di attenzioni, quello superserio che non riesce a staccare dai doveri… sono tanti e sono dentro tutti insieme.
Ma si presentano uno alla volta e la nostra efficacia come persone spesso dipende dal mettere la maschera giusta semplicemente al momento giusto: difficilmente il nostro “io” menefreghista otterrà grandi risultati durante lo sprint dell’organizzazione di un grande evento per il nostro lavoro. Oppure sarà dura sedurre il nostro partner ideale mentre indossiamo la maschera dei doveri.
La maschera giusta al momento giusto spesso aiuta, fin troppo. Ma non funziona nel lungo periodo, per due motivi:
- Nel lungo periodo le “maschere errate” si accumulano
- Nessuna di queste maschere siamo noi
Non fraintendermi: alcune di queste maschere spaccano! Sono belle e superfunzionali e non è un male mettersele su… ogni tanto. Il problema è che non sono le sole e ognuno di noi ne contiene alcune che, invece, portano danni.
L’ego e le sue maschere nere
Chi di noi non ha conosciuto quello che fa la vittima? È largamente probabile che in alcune o tante occasioni, siamo stati proprio noi quel qualcuno. In quel momento crediamo che le cose che accadano avvengano per perseguitarci, o perché siamo sfortunati.
Ma c’è chi usa questa maschera in modo sistematico e si offende pure se qualcuno con una maschera più solare gli fa presente che le cose non sono proprio così grigie e, soprattutto, che non ruotano tutte intorno a lui.
Questa maschera finisce per diventare l’unica, portando la sofferenza ad essere una specifica scelta di identità, rimandando sempre quelle scelte che ci tirerebbero fuori dal circolo vizioso. Inutile descrivere i risultati personali e societari di un approccio simile.
Non è l’unica maschera nera dell’ego, naturalmente. Ci sono maschere che adorano la vergogna e l’autocommiserazione, per esempio. Quelle che si insultano in continuazione o che ci fanno l’elenco delle nostre sfortune e difetti, senza per forza palesarsi direttamente all’esterno. Quelle che ci dicono che siamo brutti, grassi, pelosi o cattivi. Che ci fanno credere che non meritiamo amore.
E quelle che ci fanno credere che ciò che perdiamo ci apparteneva, per esempio.
Ma davvero c’è qualcosa che ci appartiene?
L’identità vera dietro l’ego
Dietro tutte queste maschere c’è qualcosa che non è veramente possibile definire a parole, ma è quell’essenza immutabile che siamo veramente noi. È sempre lì, come a osservare tutto. La noterai quando la tua mente è silenziosa, perché è lì ma non parla. Ecco: tutto quello che rimane, spogliate le maschere (anche solo temporaneamente), è il vero te.
È impossibile eliminare interamente l’ego dalla nostra quotidianità, anche perché ci permette di “sentire” i nostri confini, di capire cosa è noi e cosa non lo è.
I nostri compiti primari, dunque sono due:
- Fare conoscenza con il nostro ego, in tutte le sue sfaccettature. Questo, per riconoscerlo quando interviene e non è funzionale che resti al comando
- Minimizzare la sua influenza sulle nostre vite, specialmente nelle sue sfumature negative.
Come tornare in contatto con l’identità?
Ci sono diversi modi, in realtà, di interferire con il Default Network del nostro cervello. Questa serie di connessioni è la principale candidata al contenimento del nostro ego. Difatti, interviene nei momenti di riposo dal presente, quando cominciamo a raccontarci la nostra storia. Hai presente quella voce interiore che cerca di dare un senso alle esperienze passate, programmare il futuro, parlarti di te?
Regalarci momenti in cui spegniamo o comunque abbassiamo di molto il volume di questo Network è il modo più veloce per entrare in contatto con le prime percezioni della nostra identità.
Questo può avvenire attraverso stati meditativi profondi, in cui la mente smette di parlare. Oppure in stati di flow, quando siamo così immersi in un’attività che non c’è né pensiero né percezione dello scorrere del tempo.
Oppure con gli allucinogeni, ma non è ancora un’esperienza che mi sento di consigliare anche perché di prima mano non ne so nulla, nonostante una serie di nuovi studi stia cercando di dimostrare che in realtà queste sostanze, proprio dissolvendo il circuito dell’ego, finiscano per aiutare alcuni specifici trattamenti psicologici.
Come cominciare a smantellare l’ego?
“Nessuno ha appreso il significato della vita finché non ha ceduto il suo ego al servizio dei suoi simili.”
Beran Wolfe.
La fortuna è che il nostro ego, nella forma di almeno una di quelle maschere, è presente il 99% del tempo. Non sarà dunque difficile cominciare a riconoscerlo.
Per cominciare questo lavoro di conoscenza e pulizia in cui lasciar andare un po’ di cose, ho rielaborato un semplice (semplice e facile non sempre sono sinonimi) esercizio che potrai fare quando sei da solo nella tua stanza.
Puoi scaricare le istruzioni dal form qui sotto e iniziare a scoprire chi c’è davvero sotto quelle maschere!
Noi ci sentiamo alla prossima.
Ti abbraccio forte.
Grazie Andrea Ho proprio bisogno di te Mi devo riprendere in tutti i sensi
Marco, vedrai che la strada porterà nel posto giusto. Qui trovi tutti i mezzi per farcela :)
Articolo interessante e scritto benissimo. Complimenti!
Ottimo articolo Severino! Non vedo il form da scaricare alla fine dell’articolo… Dove lo trovo?
Ciao Marco! Non vedere il form potrebbe essere un problema di browser. Prova ad aprire l’articolo con un browser o con un altro computer/telefono :) fammi sapere se poi funziona!