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Accettarsi è un passo importante. Ma cos’è che dobbiamo accettare, esattamente? Farlo, poi, significa rinunciare al nostro miglioramento personale? Ecco cosa ci dice la filosofia a riguardo…

Da appassionato di crescita personale ho spesso notato un apparente paradosso.

Da una parte l’essenza stessa della crescita personale è il miglioramento continuo. Dall’altra, però, questa continua rincorsa a migliorarsi potrebbe nascondere la difficoltà a fare i conti con sé stessi, ad accettarsi.

Ma è davvero così? Accettarsi e migliorarsi sono concetti poi così antitetici?

L’ho voluto chiedere a Rick DuFer, al secolo, Riccardo Dal Ferro, filosofo, scrittore ed esperto di comunicazione e divulgazione che stimo particolarmente.

Lascio la parola a Rick…

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Spesso, l’accettazione di sé è vista in contrapposizione alla crescita personale.

In fin dei conti, se devo migliorarmi significa che non riesco ad accettare pienamente quello che sono, e se decido di accettarmi per quel che sono allora non devo migliorarmi.

Giusto?

Sbagliato.

Se la filosofia mi ha insegnato qualcosa è che l’accettazione di sé è un punto di maturazione fondamentale dell’individuo ma solo se sappiamo cosa va accettato.

Purtroppo, spesso l’accettazione di sé diventa la scusa buona per fermarsi immobili nel punto in cui ci troviamo, rigettando le critiche di chi dice “lavora un po’ su te stesso”, evitando gli spigoli della realtà che ti suggeriscono di adattarti, di crescere, di evolvere.

Accettarsi si trasforma facilmente nella consolatoria idea che io vado bene così come sono e che se il mondo mi chiede di cambiare si tratta di un sopruso di chi mi vuole meno “autentico”.

L’accettazione di sé diventa l’idea che la richiesta di migliorarmi sia un complotto ordito contro la mia vita.

L’arte di accettarsi nella filosofia

Ma accettarsi non significa “vado bene così come sono”, è un concetto un po’ più complesso che ha a che fare profondamente con la filosofia.

John Locke

John Locke diceva che il filosofo è come quel marinaio che deve scandagliare il fondale marino a bordo di una nave.

Per farlo, egli getta in acqua un piombo appeso ad un filo e quando il peso tocca il fondo egli può misurare le asperità, la profondità e l’andamento del terreno.

Ad un certo punto, per quanto lo scandaglio sia lungo, il peso non arriverà più a toccare il fondale perché gli abissi si spalancheranno sotto la pancia della nave.

Locke afferma che il filosofo fa un lavoro molto simile, ma con il pensiero: fare filosofia significa scandagliare le profondità e accorgersi fin dove la riflessione può arrivare, sapendo che, ad un certo punto, non potremo più toccare il fondo dell’abisso.

In questo senso, il compito stesso del pensare è quello di trovare i limiti del pensiero, in ogni campo: scientifico, tecnologico, personale, filosofico, artistico, letterario, et cetera.

Una volta trovati quei limiti, rendersi conto che all’interno di essi c’è la libertà, all’esterno c’è il nulla, l’impensabile, il non esperibile.

Il filosofo, insomma, deve accettare il limite del proprio pensiero.

L’accettazione del limite è parte integrante della maturazione del nostro pensiero: aver scandagliato a sufficienza significa misurare il punto più lontano a cui possiamo giungere e percorrere i confini di quel che possiamo capire e fare nostro.

Il limite ci ricorda prima di tutto che non possiamo avere tutto sotto controllo, che non possiamo comprendere ogni cosa, né diventare tutto quello che ci passa per la testa, perché siamo costretti entro i confini della nostra limitatezza.

Ciò significa che, entro quei limiti, possiamo spingerci ben oltre quel che altri hanno detto, pensato e immaginato, e che comprendere come siamo fatti dentro quei confini è la parte essenziale che ci rende umani.

Ma senza l’accettazione del limite, non esiste conoscenza di sé.

Ma significa anche modificare il concetto di libertà: siamo liberi solo quando individuiamo il territorio del nostro agire, avendo scandagliato il fondale e segnato i confini dei nostri limiti.

Saremo prigionieri quando negheremo l’esistenza di quei limiti, o quando non avremo esplorato a sufficienza la vasta porzione di noi stessi che sta all’interno di quei confini.

Senza l’accettazione del limite, non esiste libertà.

Questo è il motivo per cui accettazione di sé e crescita personale non sono affatto antitetici, bensì alleati.

Tutto sta nel capire bene cosa significa “accettare se stessi”.

In un mondo fatto di guru in cerca di consenso, è chiaro che la frase “accettati per ciò che sei” può essere facilmente usata come suggerimento a non migliorarti, non cambiare, non progredire. Non importa chi tu sia, quali siano i tuoi problemi e le tue possibilità: accettarti significa rigettare tutte le occasioni di compiere la fatica del miglioramento, visto non più come opportunità ma come criticità.

Come imparare ad accettarsi e internet

Imparare ad accettarsi e internet

Sul web troverai infinite occasioni per distorcere l’idea di accettazione:

  • Troverai l’influencer che ti convincerà di come la tua difficoltà nel rapportarti con l’altro sesso non sia affatto un problema tuo, che non sia il prodotto dei tuoi comportamenti da migliorare, e perciò non hai bisogno di mettere in discussione te stesso, e così ti farà sentire coccolato nella tua solitudine.
  • Ti raggiungerà l’advertising di una nutrizionista che, rivolgendosi al tuo disagio per il fatto di essere sovrappeso, ti convincerà che non c’è niente da modificare in te, che sei bellissimo così come sei e che non devi lasciare che i modelli sociali imperanti ti convincano di dover cambiare qualcosa.
  • Ci sarà lo streamer che ti permetterà di sentirti meno in colpa per le sei ore trascorse sul videogioco del momento, perché se lo fa lui per tutto il giorno allora significa che puoi farlo anche tu.
  • Scoverai l’opinionista che, esprimendo un’idea simile a quella che tu nutri pregiudizialmente, ti farà sentire a tuo agio con la consapevolezza di avere forti convinzioni pur non avendo mai studiato, approfondito o messo in discussione le tue idee.

E così, di volta in volta, accettare se stessi significa rimanere perfettamente immobili nei propri difetti, statici nei vicoli ciechi della propria esistenza, cristallizzati nelle abitudini che bisognerebbe cambiare semplicemente perché sfociano facilmente nella patologia e nella sofferenza.

Il miglioramento di sé però non è la mancata accettazione di sé.

Migliorarsi significa proprio accettare quel che ogni essere dotato di intelligenza dovrebbe accettare: la realtà indiscutibile dei suoi limiti.

Migliorarsi vuol dire accettare i confini entro cui dobbiamo agire per conoscerci meglio, non accettare di trovarsi in un punto casuale entro il territorio compreso tra i nostri limiti.

Migliorarsi ha a che fare con l’esplorazione delle proprie possibilità e accettare se stessi passa per la consapevolezza del limite che compone intrinsecamente quelle possibilità.

Ricardo Peter, nel suo “Una terapia per la persona umana”, tentò di denunciare la cultura della perfezione che avvelena la vita dell’essere umano: la hybris che ci spinge a negare i nostri limiti; l’incapacità di trovare una dimensione di vita in cui mettere a frutto i propri talenti; il coraggio di ammettere che non possiamo arrivare ovunque, controllare tutto, capire ogni cosa.

E credo che l’opera di Peter sia fondamentale per riportare l’essere umano con i piedi per terra.

Ma l’accettazione di sé intesa come “accettazione del punto in cui uno si trova ora nella sua esistenza” è soltanto un’altra forma di hybris e tracotanza.

L’idea che accettarmi significa non farmi toccare dal mondo, evitando di riconoscere tutti quegli avvenimenti della vita che, sorprendendomi inadeguato, mi dovrebbero spingere a migliorarmi, a lavorare su me stesso, ad esplorarmi in vista di un cambiamento consapevole, è superbo quanto l’idea di chi nega i propri limiti e presuppone di poter fare, dire e diventare qualsiasi cosa desideri.

Le relazioni con gli altri mi chiedono adattamento.

Nessuno di noi parte con un corredo completo di quel che incontrerà durante il corso della vita e migliorarsi vuol dire esplorare le mie possibilità di adattamento senza dover negare la mia identità.

Il lavoro mi chiede adattamento: non veniamo al mondo con le competenze necessarie ad eccellere nell’attività che ci scegliamo per la vita e migliorarsi significa dare sempre carburante alla curiosità necessaria per ampliare il proprio ventaglio di conoscenze.

La felicità mi richiede adattamento: non siamo felici semplicemente in quanto vivi, siamo felici quando le nostre caratteristiche intrinseche riescono ad incastrarsi bene con l’ambiente circostante, che è fatto di cose e persone altrettanto cangevoli di noi, e migliorarsi vuol dire conoscere a fondo le proprie caratteristiche, accettando i propri limiti e riconoscendo in maniera lucida le nostre possibilità per trovare la serenità che tanto agogniamo.

Migliorarsi significa insomma trovare la misura di sé, che è da sempre il compito dato alla filosofia.

L’esempio perfetto del connubio tra accettazione e miglioramento

Marco Aurelio

L’esempio perfetto, secondo la mia visione delle cose, è Marco Aurelio, imperatore e filosofo del I secolo d.C.

Marco Aurelio fu al comando di Roma nel momento di massima espansione territoriale, un momento storico di tumulti, rivolte, invasioni e grande confusione.

Egli era però un individuo apparentemente inadatto al ruolo che doveva ricoprire: timido, appassionato di poesia, musica e filosofia, non avvezzo alla mondanità spinta, riflessivo e spesso solitario.

La perfetta formula per il disastro.

Un uomo inadatto alla carica imperiale nel momento storico dove l’imperatore doveva mantenere un controllo saldo sulla situazione.

Durante il corso della storia, quando questa formula si avvera, accadono principalmente due cose:

  • La prima possibilità è che l’individuo venga completamente inghiottito dai doveri politici e si trasformi in una sanguinaria macchina da guerra che, reprimendo la propria indole, sfoga sugli altri la frustrazione di vivere una vita che non è la sua.
  • La seconda possibilità è che l’individuo schiacci completamente la carica e che i doveri imperiali vengano trascurati, gettando il mondo in un caos ancora più spinto.

Incredibilmente, con Marco Aurelio non si avverò nessuna delle due possibilità.

Questo accadde perché l’individuo Marco Aurelio non fece l’errore di “accettare se stesso” adattando la carica imperiale a quello che lui era, né tentò di valicare i limiti della sua persona annichilendo se stesso permettendo al lato imperiale di prendere il sopravvento.

Marco Aurelio passò l’intera vita a migliorare se stesso, esplorando il territorio entro i limiti della sua persona e in questo modo adattando, di volta in volta, la sua personalità ai doveri imperiali e la figura imperiale alle sue esigenze e ai suoi limiti.

Riuscì a fare questo semplicemente restando all’erta o meglio, usando le sue stesse parole:

“Guardandosi vivere”.

Marco Aurelio.

Ciò significava, nella pratica, ri-pensare ogni giorno alle cose dette, fatte e compiute, e annotarle per tenere memoria degli errori, dei passi falsi, così come delle virtù e dei pregi messi in atto durante la veglia.

Marco Aurelio scriveva queste riflessioni, questi ri-pensieri, su carta, e noi oggi abbiamo la fortuna di poterli leggere nell’opera “Pensieri, vero compendio di un uomo che migliora ogni giorno se stesso senza violare i limiti della propria esistenza.

Conclusioni

Nel miglioramento di sé sono quindi due le parole d’ordine: in primo luogo “misura” e in seconda istanza “ri-pensare”.

La misura è centrale poiché ricalca l’idea espressa da John Locke: siamo chiamati a usare la nostra intelligenza e il nostro ingegno per scandagliare il fondale, per capire fin dove possiamo arrivare, per ricalcare la mappa delle nostre possibilità, avendo accortezza di rispettare la misura di quello che siamo.

Solo in questo modo potremo costruire una vita a “misura” di quel che siamo.

Il ri-pensare è il metodo che ci permette di raggiungere la misura: ogni giorno dobbiamo avere il coraggio di fermarci e riflettere su quanto detto, fatto e compiuto durante la giornata.

Ri-pensare ai comportamenti che abbiamo portato avanti, ri-pensare alle idee sostenute, ri-pensare alle intenzioni con cui abbiamo svolto una conversazione, ri-pensare al risultato delle nostre azioni: ri-pensare è l’atto filosofico per eccellenza perché ci permette di “osservare” la vita vissuta con il necessario distacco senza il quale non esiste comprensione.

Non possiamo comprendere davvero la vita mentre la viviamo perché siamo, appunto, limitati: commetteremo errori che non volevamo commettere, diremo parole indesiderate, ci comporteremo in modi indigesti persino a noi stessi, faremo cose di cui pentirci, ma di tutto questo ci renderemo conto onestamente prendendoci il tempo per ri-pensare a noi stessi.

Concedersi il tempo per valutare se stessi è il primo vero atto di auto-miglioramento che possiamo immaginare.

Ri-pensando a noi stessi riconosceremo i limiti intrinseci alla nostra esistenza, disegneremo una mappa del mondo a misura di quel che siamo, sapremo adattarci a ciò che accade avendo l’accortezza di non lasciarci trasformare in modo univoco.

Ri-pensando a quel che facciamo potremo davvero riconoscerci per quel che siamo, lucidamente, e imparare a vivere la nostra vita vera nel ruolo che la realtà ha posto di fronte a noi, che siamo imperatori, filosofi o qualsiasi altra cosa.

Solo in quel momento potremo accettare noi stessi, arrendendoci virtuosamente ai nostri limiti e sapendo trovare, entro quei limiti, la felicità che tutti cerchiamo incessantemente di conquistare.

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Ringrazio ancora Riccardo, un contributo davvero splendido e articolato, che mi auguro ti abbia aiutato a comprendere meglio come accettarsi e migliorarsi in realtà siano due facce della stessa medaglia.

Se non lo fai già, ti consiglio di seguire l’ottimo podcast di Rick: Daily Cogito.

Tra l’altro Rick sta tenendo anche delle date live del podcast, in giro tra diversi teatri delle principali città italiane.

Se vuoi partecipare ad uno dei suoi Stand-Up Cogito, trovi tutti i dettagli qui. Se riesco ad incrociare la mia presenza in Italia con una delle sue date, io andrò sicuramente 😊

A presto,

Andrea Giuliodori.

Avatar di Rick DuFer
Riccardo Dal Ferro è filosofo, scrittore ed esperto di comunicazione e divulgazione. Direttore della rivista di filosofia contemporanea ENDOXA, porta avanti il suo progetto di divulgazione culturale attraverso il suo canale Youtube “Rick DuFer” e ...

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Mauro

Mi viene in mente l’intelligenza emotiva di Goleman. Il nostro corpo (limite) reagisce alle situazioni in un certo modo, ma noi possiamo riconoscerlo e lavorare sulle nostre emozioni per affrontare/controllare le situazione in un determinato modo. Senza questo meccanismo si potrebbe cadere nel panico oppure chiudersi in se stessi. Grazie per l’articolo e buon inizio settimana

Andrea Giuliodori

Grazie a te del commento Mauro.

anna

Questo articolo è veramente spettacolare!

Andrea Giuliodori

Concordo, bravo Rick!

Gabriele

Articolo davvero bello..Concordo su tutto, credo però che l’impresa più ardua non stia tanto nell’ri-pensare e nell’automigliorarsi quanto nel comprendere REALMENTE quale siano i nostri VERI limiti.

Tanto per essere chiaro, riporto un esempio, seppur terra-terra, che mi riguarda da vicino: ho sempre desiderato avere un fisico atletico, muscoloso e definito, non di certo ai livelli mostruosi del body builder ultra pompati, ma diciamo un più un corpo da modello fitness. Ovvero qualcosa di raggiungibile in maniera naturale, senza cioè dover assumere sostanze dopanti (tengo troppo alla mia salute).
Per tale obiettivo, mi alleno regolarmente in palestra da molti anni, in particolare negli ultimi 2 sto curando tutti gli aspetti in maniera maniacale (alimentazione, sonno, ecc.)….Eppure il mio aspetto, benché non proprio da buttare, è lontano anni luce da quello che vorrei e che, francamente, ritengo sarebbe giusto ottenere dato tutto l’impegno che ci sto mettendo e i sacrifici a cui mi sottopongo costantemente….Ci sono tante persone che conosco che non hanno mai toccato i pesi prima, non curano nemmeno particolarmente né l’alimentazione né lo stile di vita, eppure bastano loro pochi mesi di palestra per diventare ben più muscolosi ed atletici del sottoscritto che si allena da una vita! Il mio personal trainer dice che ormai, avrei raggiunto il mio massimo potenziale fisico e che dovrei comunque accontentarmi di avere e mantenere un “fisichetto” slanciato e stop.
Francamente questa sua opinione è difficile da accettare per me, e spesso mi chiedo se davvero sia arrivato a toccare il mio limite, se magari cambiando tipo di allenamento o di alimentazione o chissà cos’altro potrei rriuscire ad ottenere qualcosina in più…Sto tarlo mi rimane sempre in testa, e sinceramente mi logora sempre un pochino. :)

Quindi, come fare per capire DAVVERO i nostri limiti, fin dove la nostra ancora riesce a toccare il fondo marino? Non è così facile….Potremmo fare milioni di tentativi, ma se non otteniamo quello che desideriamo, non è detto che possiamo convincerci di aver raggiunto il nostro massimo potenziale, o, ancor peggio, magari ci rassegniamo a questa nuova consapevolezza, quando invece un’ulteriore nuova strada intrapresa ci avrebbe dimostrato di poter ottenere di più…Argomento piuttosto spinoso, insomma. :D ;)

Flory

Ciao Gabriele,

mi rispecchio pienamente nella tua situazione. Il tuo è uno spunto interessante.

L’osservazione che mi viene spontanea fare è: ammettiamo che il limite del tuo corpo non sia stato raggiunto e con un ulteriore spintarella o una diversa strategia possa raggiungere davvero il suo limite/il tuo obbiettivo.
Ma se è la tua mente ad essere arrivata al limite oltre la quale cominceresti a risentire del sacrificio dovuto a rinuncia di cibi sfiziosi in occasioni speciali o alla ripetitività dei pasti?
Credo che sia sensato valutare la presenza simultanea di diversi limiti che si influenzano tra loro.

Andrea Giuliodori

Spunto molto interessante.

Gabriele

Ciao Flory, la tua considerazione è sicuramente interessante, anche se non credo si adatti alla mia situazione: io AMO allenarmi e portare avanti uno stile di vita quanto più salutare possibile, sarei un bugiardo a dire che fare sempre 6 pasti al giorno (poi sempre intervallati ciascuno da periodi MAI inferiori alle 2 ore e MAI suoeriori alle 5! :( ) non mi pesi a volte, tuttavia porto avanti il tutto con estrema dedizione e consapevolezza, non credo sia quello il mio problema.

Diciamo che una genetica sfavorevole, unita ad alcuni problemini che mi impediscono spessissimo di dormire profondamente come dovrei forse sono le cause più probabili del mio rimanere sempre piuttosto secco, ahimé😀

Ad ogni modo, concordo con te sul fatto che l’aspetto mentale ricopra un ruolo fondamentale in ogni nostra azione.

Andrea Giuliodori

Ciao Gabriele, per quella che è la mia esperienza, i nostri veri limiti sono MOOOOOOLTO, ma MOOOOOLTO più in là di quello che potremmo immaginare. Non so come ti stai allenando e non sono certo un esperto di allenamenti, ma sono andato in palestra anche io fin dall’università, cambiando poco. 5 anni fa ho lavorato invece con un PT qui a Londra e per la prima volta ho visto cambiamenti importanti, ma soprattuto ho realizzato di poter realizzare cose che in passato non pensavo possibili. A causa di problemi di salute genetici ho dovuto rinunciare agli allenamenti per un tempo prolungato, ma ora che ho ricominciato, so che i miei limiti sono ancora lontani da raggiungere. Sicuramente per scandagliare il nostro fondale, dobbiamo sperimentare nuove rotte. Ripetendo sempre le stesse non conosceremo mai i nostri reali limiti.

Gabriele

Ecco Andrea, quindi mi sembra di capire che convieni con me quando dico che riuscire a consapevolizzare i propri limiti è probabilmente l’impresa più ardua dell’intero processo, pur sperimentando una moltitudine di strade diverse.
Tornando al mio esempio terra-terra, in questi anni ho sperimentato almeno 5-6 metodi di allenamento diversi, e in particolare negli ultimi 2 mi sto facendo seguire online da un preparatore le cui consulenze mi costano (quasi) un occhio della testa 😁poiché è considerato uno dei migliori a livello nazionale (e non solo) e ho visto diverse persone che grazie a lui hanno ottenuto cambiamenti spettacolari a livello fisico, in maniera del tutto naturale…Attuando il metodo che divulga ho raggiunto il non trascurabile beneficio di ottimizzare il tempo per la palestra (vado solo una volta ogni 4-5 giorni e con sedute molto brevi..Heavy Duty, of course! :D), tuttavia pur essendo, forse, nella mia migliore forma fisica, almeno degli ultimi anni, sono ben lontano dall’avere un fisico anche solo vagamente simile ad un modello fitness, nonostante l’impegno totale che ci dedico…D’altronde, anche lui era stato chiaro con me fin dall’inizio della nostra collaborazione “io posso portarti alla massima forma che puoi raggiungere, ma vista la tua esperienza di tanti anni con i pesi dubito che tu possa crescere muscolarmente chissà quanto, ormai il tuo apice già lo hai raggiunto.” (P.s: ho 40 anni)

Non escludo in futuro di sperimentare altre vie (ovviamente naturali!)…Tuttavia, la mia consapevolezza sta cominciando a rassegnarsi a riconoscere come reale questo mio limite, dopo tutto questo tempo.
Farà bene? Farà male? Non lo saprò mai ^_^

GIUSEPPE

Eccellente.
Va letto con calma un paio di volte.

Sara

Accettarsi come gesto di consapevolezza di sè e dei meravigliosi limiti che ci caratterizzano e che sono la base sulla quale appoggiarsi e partire per migliorarsi.. ogni giorno.. articolo ricco di spunti.. grazie!

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