Eccoci qua anche oggi a trattare il nostro tema più caro, quello che ci spinge tutti a migliorarci e a lottare. Il tema che ha preso tantissime energie ai migliori filosofi di ogni tempo e anche ai più piccoli pensatori. Quell’argomento che sembra tanto vago da spiegare, quella domanda che attanaglia l’umanità da tutta la storia: cos’è la felicità?
La definizione di felicità
Ti do il benvenuto subito nel mondo della vaghezza e della varietà. La felicità è un concetto talmente vasto che è sempre risultato molto difficile da definire bene. Un po’ come le emozioni: tutti sappiamo cosa sono, fino a quando non dobbiamo definirle.
Cominciamo col dire che nella storia dell’umanità sono state abbozzate molte definizioni di cos’è la felicità, più o meno utili. Per lo scopo di questo articolo e del nostro lavoro, però, ne useremo un paio: una mia e una di Sonia Lyubomirsky.
Ma prima, scopriamo cosa l’umanità ha chiamato felicità nel corso della storia.
Cos’è la felicità per i grandi filosofi
“Non c’è strada che porti alla felicità. La felicità è la strada.”
Siddharta Gautama.
Chi meglio del Buddha poteva cominciare questo giro nel passato della felicità? Quando immaginiamo il Buddha, lo vediamo sempre nella sua posizione pacifica, con lo sguardo sorridente immerso nella serenità totale. Partiamo da lui e da alcuni suoi “contemporanei” per capire cosa dicevano gli uomini più saggi riguardo alla felicità.
Anche se a me basterebbe già ciò che ha detto Siddharta per spiegare tutto, allarghiamo comunque gli orizzonti a due grandi filosofi dello stesso periodo – Aristotele e Platone – che puntavano il dito su se stessi spiegando per primi di chi sia la responsabilità delle proprie emozioni.
Se penso che alcune persone puntano ancora il dito fuori da se stessi nel 2023… ma continuiamo coi filosofi di 2500 anni fa! Possiamo assimilare i due pensieri con la frase di Aristotele, che dice:
“La felicità dipende da noi stessi”
Aristotele.
Più complesso e completo il pensiero orientale del grande Confucio, che copre un altro aspetto di cos’è la felicità, talmente importante che non riesco a esimermi dal condividerlo. Il saggio tocca un punto fondamentale che non va sottovalutato mai: il nostro pensiero, unito alla nostra attenzione.
Una delle infinite perle che ci ha regalato, infatti, recita più o meno così:
“Più un uomo medita su pensieri buoni, migliore sarà il suo mondo e il mondo in generale.”
Confucio.
Già prima ancora del nostro amico Gesù da cui prendiamo la calendarizzazione dei giorni, le idee e le conoscenze sulla felicità erano più che approfondite. Ma allora perché ci risulta ancora così difficile? Dov’è stato il corto circuito nella società umana che non è ancora riuscita a garantire un percorso di felicità che sia chiaro e perseguibile da tutti?
La felicità in tempi più “recenti”
L’obiettivo di questo articolo, naturalmente, non è fare un excursus storico su cos’è la felicità. Ma ci tengo comunque, prima di passare alle nostre definizioni, a condividere una stupenda visione di qualche secolo più tardi… un po’ più vicini al nostro periodo.
L’idea sulla felicità di cui parlo appartiene al grande Thoreau, che raccontava più o meno questo:
“La felicità è come una farfalla; più cerchi di inseguirla, più ti eluderà. Ma se sposti la tua attenzione su altre cose, si siederà dolcemente sulla tua spalla.”
Henry David Thoreau.
Un po’ come il Buddha, il caro vecchio Henry fa notare come il ricercare la felicità è un’attività inutile e deleteria, mentre essa è una presenza da lasciar esistere nella nostra realtà.
Fatte queste dovute premesse, possiamo arrivare alle due definizioni che sono più utili a noi. Quella della Lyubomirsky e la mia.
Cos’è la felicità per la scienza
Esatto, hai letto bene. La felicità, finalmente, è diventata una materia di studio. Lo è diventata quando alcuni psicologi hanno mosso dei passi verso lo studio delle emozioni positive e non solo dei disturbi e problemi causati da menti malfunzionanti e malattie.
La psicologia positiva ha fatto passi enormi negli ultimi cinquant’anni, scoprendo cosa funziona davvero e cosa no, nel percorso di costruzione della felicità personale.
Non solo, ha reso (più) misurabile qualcosa che è sempre stato un quesito puramente filosofico. Per cui, come viene definita la felicità dagli psicologi positivi? Anche qui in vari modi, ma per praticità ritengo che quella della Lyubomirsky sia la definizione più completa e funzionale:
“the experience of joy, contentment, or positive well-being, combined with a sense that one’s life is good, meaningful, and worthwhile.”
che, tradotto nella nostra lingua, fa più o meno così:
“L’esperienza di gioia, contentezza, o benessere positivo, unito alla sensazione che la propria vita sia buona, significativa e utile.”
Dunque, in una sola frase possiamo apprendere che la felicità ha queste caratteristiche:
- È un’esperienza presente
- di un insieme di sensazioni positive e strutturate
- unite all’utilità e al significato
Questi sono tutti elementi importanti per comprendere come costruirla e ne parliamo dopo, perché prima voglio dire la mia.
La mia definizione di cos’è la felicità
Per quanto il mio background sia fortemente influenzato dagli studi psicologici e di scienze della salute, non sono un tecnico e non voglio esserlo.
Ma c’è un mestiere in cui un tecnico lo sono: l’uso del linguaggio e della parola.
Per questo è per me fondamentale dare una visione personale e complementare a quella di Sonia Lyubomirsky, perché se lei definisce la felicità in termini psicologici e pratici, io preferisco definirla come parte di un percorso di costruzione di noi stessi.
“La felicità è il primo passo, il primo scalino, il primo mattone delle fondamenta del vivere.
È la struttura che tiene insieme tutti i volti della nostra identità.”
È importante per me definirla così, per evitare l’errore che spesso si compie e cioè di considerare la felicità come la conseguenza di qualcosa, mentre essa è il punto di partenza di ogni successo.
Per ogni cosa che vorremmo intraprendere, missione che intendiamo compiere, o progetto da costruire, se il nostro vero desiderio è portarlo a compimento, dobbiamo prima concentrarci sulla costruzione della nostra felicità personale.
Ed è qui che, di solito, ci si scontra con la seguente obiezione.
La felicità è soggettiva
Ammetto che come obiezione ha un certo appeal: in fondo siamo tutti diversi tra noi ed è inevitabile che quello che rende felice una persona, potrebbe non renderne felice un’altra.
Ma è altrettanto vero che siamo una specie e abbiamo caratteristiche che sono, appunto, proprie della nostra specie. A tal proposito, forse è un buon momento per distinguere le gratificazioni istantanee con la felicità strutturale.
Le gratificazioni istantanee sono certamente soggettive, ma non portano alla costruzione della felicità. Anzi, spesso sono proprio deleterie fino al limite della dipendenza patologica.
La costruzione della felicità si intraprende agendo sul livello base di felicità (che è “stabilito” geneticamente per ognuno di noi) che si sposta coltivando le dieci fette della positività.
Se dunque ho il coraggio di dire che la felicità non è soggettiva, sto sostenendo il contrario?
La felicità è oggettiva
Per quanto la mia autostima sia piuttosto alta, non sono così arrogante da sostenere una cosa come questa. Sarebbe intellettualmente disonesto. Ma, come detto precedentemente, vi sono fattori su cui lavorare che, in maniera inevitabile e misurabile, influiscono sui livelli percepiti di felicità.
E sono, appunto, le dieci fette della positività, che possono essere costruite e strutturate in maniera sistematica, dandoci la possibilità di essere veramente padroni della nostra felicità e soddisfazione personale. Ma, per completare il nostro quadro, dobbiamo tornare per un attimo alle due definizioni. C’è un fattore che abbiamo lasciato indietro e che è forse il più importante di tutti: il significato.
Il senso della vita
No, non sto per dare la risposta a quest’altro enorme quesito. Lo tratto solo per un motivo: non ci sarà felicità strutturale senza che la nostra vita abbia un significato.
E questo sì, che è soggettivo: ognuno di noi è in grado di dare un significato alla propria storia e alle proprie azioni e motivazioni. E senza quel senso, saremo senza direzione.
Senza direzione, poi, non si arriva da nessuna parte e non si può provare un senso di progresso e crescita. Per questo, ciò che faremo oggi, è cominciare a cercare questo significato così che possiamo davvero iniziare a vivere come abbiamo sempre desiderato.
Conclusione: come si trova il senso della vita?
Bella domanda. Riformuliamola per avere un po’ più di controllo sul processo: come decidiamo il senso della nostra vita? Eh, sì, perché questa è la verità… il senso della nostra vita appartiene a noi e a nessun altro. Per poterlo comprendere dobbiamo entrare in contatto intimo con la nostra anima e ascoltarla. A tal proposito, ho creato un esercizio in più passi che ci permetta perlomeno di avvicinarci a cosa realmente ci appartiene e svelare, un pezzo alla volta, la nostra direzione attuale.
Nel farlo potresti scoprire delle cose abbastanza importanti, per cui ti chiedo di svolgerlo con attenzione, apertura mentale e accettazione.
Troverai il form per l’esercizio in fondo all’articolo e spero che ti sia di grande aiuto anche se è solo un piccolo passo iniziale.
Ma, come sappiamo, anche un viaggio di un milione di chilometri inizia con il primo passo.
Noi ci sentiamo alla prossima. Ti mando un abbraccio enorme.
Severino.
Apprezzo parecchio la sterzata del blog verso argomenti più spirituali :)
Concordo con te: è importante distinguere la differenza tra piacere (tipico della società consumistica in cui viviamo ) e felicità.
Già gli antichi greci ci esortavano a coltivare gli “abiti”, cioè i valori che sono alla base di tutto ( per esempio tenacia, libertà, coraggio….). Andrea nella guida APP ad un certo punto ci presenta un ampio ventaglio di questi “abiti”: occorre solo scegliere quelli più adeguati a noi e, appunto, coltivarli.
Grazie ragazzi!!!
Michele
Ciao Michele, grazie a te. Credo che questo stia avvenendo in maniera ancora più importante perché il motivo per cui tutti lavoriamo su noi stessi, in fondo è quello.
Vogliamo cercare di rendere la felicità, invece che un punto di arrivo, un punto di partenza per tutto quello che c’è dopo :)
per me la felicità è imparare a godere di ciò che si ha. Questo concetto mi fu espresso da un frate e da allora è diventato il “mio motto”
Non possiamo controllare la felicità perché essa è un dono che rapisce colui che è aperto a riceverla. È qualcosa che è oltre la nostra personalità e pur si manifesta attraverso di essa. Il piacere procurato da un duro lavoro, da un traguardo raggiunto, da una scoperta fatta, da una rivelazione ottenuta, da un orgasmo o da un piatto gustato, è un pallido ricordo della felicità dell’essere che è propria di ogni cosa esistente, compreso noi.
Era da diverso tempo che non ero così soddisfatto di un articolo di Efficacemente, Andrea mi ha fatto parecchie volte saltare dalla sedia per l’entusiasmo,ed oggi è la prima volta dopo tanto tempo che un post di questo blog mi arricchisce davvero.
Non la definirei una “sterzata verso argomenti più spirituali”, di spirituale c’è poco, quel che vedo è tanta scienza applicata alla pratica – in fondo è stata sempre questa la chiave del successo di Andrea -.
Mi permetto di suggerire gli studi di un’altro grande “scienziato della felicità”: Andrew T. Jebb.
Grazie Mille Severino, continua così!
Ti ringrazio Fabio, fa sempre tanto piacere sapere che il lavoro che viene fatto arriva proprio nelle forme in cui lo si è pensato. Con il lavoro che stiamo facendo vogliamo in qualche modo dare un “boost” a tutto ciò di cui tratta il blog, dato che alla fine l’obiettivo di tutti noi è vivere felici.
Stiamo cercando di aumentare i mezzi a disposizione per tutti. Ti ringrazio tantissimo per il consiglio. Cerco di infilare anche quello in tutta la lista che ho :)
Articolo molto bello e fino a quando hai provato a spiegare la felicità usando il tuo pensiero.
Mi dispiace ma preferisco gli articoli di Andrea Giuliodori o di Roberto Rais, molto più concreti e utili al lettore.
Ho letto diversi tuoi articoli come ad esempio “Felicità: perché coltivarla è un dovere e non è essere egoisti”, ma li trovo molto prolissi e con concetti troppo astratti, senza spunti per lo sviluppo personale quotidiano del lettore.
Leggo gli articoli di efficacemente da un paio di anni tutte le settimane, sinceramente da quando leggo i tuoi articoli devo lasciare un feedback negativo.
Fai bene a dire la tua!
Ogni autore ha un suo target, è evidente che i miei articoli non sono per te e va benissimo così. Puoi stare tranquillo che né Roberto, né Andrea verranno messi da parte per i miei contenuti, ma ognuno avrà i suoi spazi.
Potrai dedicare quel tempo (nelle settimane in cui sarò io a pubblicare) ad attività più consone al tuo sviluppo :)
La felicità per me è percepire la bellezza nonostante tutto.
Significa: vedere e sentire la bellezza nonostante il nostro stato d’animo attuale, come se ci fossero stati sovrapposti di una coscienza che non perde mai il ‘contatto con la felicità immutabile. Essendo la felicità una condizione persistente e inprescinfibile, noi possiamo solo essere aperti e percepirla, o chiusi e non essere coscienti della sua esistenza. Quando siamo ingombrati da involucri pesanti come l’attaccamento, la paura e l’egoismo rischiamo di vedere flebilmente e solo a tratti la luce scintillante della felicità, che brilla su tutti noi incurante di cosa pensiamo diciamo o proviamo.
Innamorarsi della vita è ciò che più di ogni altra cosa dona felicità
sentirsi apposto con la propria coscienza.
amare a 360 gradi.
essere e pensare positivi.
immedesimarsi nei problemi degli altri e farli nostri
godere dei successi altrui.
essere soddisfatti di quello che si e’ e di quello che si ha
Tutto questo ti fa essere appagato e di conseguenza felice.
La felicita’ non si compra.
i beni materiali se non sudati non ti danno niente.
svuota il tuo animo e dona tutta la ricchezza che hai dentro.
questa e’ la vera felicita’, l’ho constatato sulla mia pelle.
e credetemi e’ una esperienza meravigliosa.
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Severino non collabora più con EfficaceMente da alcuni anni.