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In questo articolo sono felice di ospitare Gianluca Gotto.

Gianluca è un viaggiatore, uno scrittore e uno splendido essere umano che da anni condivide le sue riflessioni e il suo percorso di crescita personale sul seguitissimo blog “Mangia, Vivi, Viaggia” e sul suo profilo Instagram @gianluca.gotto.

In questo suo contributo per i lettori di EfficaceMente, Gianluca ci parla di overthinking… ovvero la trappola del pensare troppo!

Ti consiglio di leggerlo fino in fondo perché è un pezzo che merita! Buona lettura.

Noi soffriamo perché pensiamo

Il Buddha non era uno che perdeva tempo in chiacchiere o esercizi di immaginazione.

A lui interessava solo la realtà, “qui e ora”.

Infatti alla base della sua dottrina non ci sono dei comandamenti ma “quattro nobili verità” che individuò attraverso un’attenta osservazione che aveva fatto della sua natura umana e del mondo intorno a sé.

La prima di queste nobili verità è:

“La sofferenza esiste”.

È qualcosa su cui ognuno di noi è certamente d’accordo. Ma di quale sofferenza parlava?

Non del dolore fisico, non solo almeno, perché esso si riferisce a una condizione che si vive nel presente. Se ti rompi un ginocchio, soffri. Quando guarisci, smetti di soffrire.

Buona parte della sofferenza umana è di tipo mentale ed è legata a qualcosa che è già accaduto oppure a qualcosa che deve ancora accadere.

Molti, ad esempio, si deprimono pensando al passato e sono ansiosi pensando al futuro. Nel momento in cui ripensano a un vecchio fallimento lavorativo, la giornata è rovinata; oppure immaginano qualche disgrazia che potrebbe accadergli e non dormono più la notte.

Insomma, noi soffriamo perché pensiamo.

O meglio, perché non siamo in grado di pensare correttamente. Secondo il Buddha non è la realtà intorno a noi a causare direttamente la nostra sofferenza, ma la nostra percezione della realtà.

Il modo in cui pensiamo agli eventi che ci accadono ci fa più male degli eventi stessi, una riflessione a cui qualche secolo dopo giunse in modo pressoché identico anche Epitteto, uno dei massimi esponenti dello stoicismo romano:

“Non sono gli eventi, è il nostro punto di vista riguardante gli eventi il fattore determinante. Dovremmo essere più preoccupati di rimuovere i pensieri sbagliati dalla mente che rimuovere gli ascessi e i tumori dal corpo”

Secondo la visione buddhista, se vogliamo raggiungere la vera felicità dobbiamo innanzitutto concentrarci su noi stessi, anche perché non possiamo cambiare il mondo se prima non siamo in grado di conoscere e cambiare noi stessi. In particolar modo dobbiamo concentrarci sulla nostra mente e imparare a governare i nostri pensieri. Se non lo facciamo, siamo condannati alla sofferenza.

Per sottolineare l’importanza di questo concetto c’è una metafora buddhista che viene tramandata da millenni:

“La mente umana è come una scimmia e i pensieri sono come liane. Se non siamo in grado di controllare la nostra mente, essa salterà continuamente da una liana all’altra, da un pensiero a un altro, finché non impazzirà a causa di questo incessante movimento. Quando la mente-scimmia è incontrollabile, diventa la fonte di tutti i nostri turbamenti e problemi. Se la mente-scimmia è calma, invece, noi siamo lucidi e tranquilli e possiamo essere felici”.

L’overthinking secondo il Buddhismo

Fu un monaco buddhista a spiegarmi tutto ciò che ho condiviso fino a questo punto dell’articolo. Accadde qualche anno fa a Pai, una cittadina nell’estremo nord della Thailandia.

Avevo fatto un lungo viaggio per giungere ai piedi di una imponente statua bianca del Buddha costruita sulla parete verdissima di una collina.

Ero là per partecipare a una monk chat, un colloquio a due in cui è possibile toccare qualsiasi argomento: vita, morte, felicità, depressione, relazioni, religione, società, meditazione, lavoro, spiritualità. Tu poni le domande e il monaco risponde attingendo dalla millenaria saggezza buddhista. Lui migliora il suo inglese e tu torni a casa con qualche risposta, o almeno con una storia da raccontare.

Avevo deciso di partecipare alla monk chat perché stavo attraversando un periodo decisamente complicato.

Dall’esterno non si sarebbe detto: stavo realizzando il mio grande sogno di diventare uno scrittore, vivevo in viaggio per il mondo da anni lavorando in remoto, ero in salute e innamorato. Eppure da qualche tempo una grande confusione si era impossessata della mia mente, generando un’infinità di nuovi pensieri e preoccupazioni che non riuscivo né a capire, né tantomeno a controllare. L’inevitabile risposta del mio organismo a questa improvvisa incertezza era un forte stress che mi stava lentamente debilitando, soprattutto a livello mentale.

Raccontai tutto questo al monaco, in quel caldo pomeriggio. E lui mi spiegò che noi esseri umani siamo gli unici animali a soffrire non a causa di quello che ci accade ma a causa dei nostri pensieri.

Disse che il problema non è solo nella qualità dei nostri pensieri, ma anche nella quantità: dal suo punto di vista l’uomo occidentale è esausto mentalmente perché pensa male ma soprattutto perché pensa troppo.

Questa, a suo dire, dovrebbe essere considerata una vera e propria malattia, perché ci impedisce di conquistare quello stato di chiarezza e tranquillità mentale necessari per vivere serenamente.

“D’accordo, ma come faccio a placare i miei… troppi pensieri?” gli chiesi.

Lui mi rivolse un sorriso pacifico e poi mi diede un consiglio pratico e di una semplicità disarmante, che però mi aiutò immensamente a superare l’overthinking con cui lottavo da una vita intera…

Overthinking: quando la mente-scimmia impazzisce

“Ciao, sono Gianluca e ho sofferto di overthinking”.

Okay, non mi aspetto che rispondiate in coro: “Ciao Gianluca”. Però so che la comunità di overthinkers purtroppo è in espansione e mi sembrava giusto presentarmi ammettendo di aver combattuto a lungo questo mostro che il Buddha chiamava “mente-scimmia impazzita”.

Cos’è l’overthinking?

È quel dannato troppo pensare che è in grado di complicare tutto ciò che è semplice e rendere ancora più difficile ciò che già normalmente ci manderebbe in crisi. L’overthinking riguarda ogni aspetto della nostra vita: le relazioni, il rapporto con noi stessi, i nostri progetti e le nostre ambizioni, la nostra carriera.

È la tendenza a riflettere eccessivamente sulle cose e le situazioni della vita, con conseguenze che ormai sono note a sempre più persone: perenne stanchezza mentale, stress e frustrazione, procrastinazione seriale.

E le conseguenze di queste conseguenze sono ancora peggiori: a pensare troppo si tende a rimandare e attendere, ed è proprio in questo immobilismo che l’autostima precipita. Si pensa troppo, si vive poco e si diventa insicuri e sempre più impauriti dal cambiamento. Non passando mai all’azione, ci si ritrova inevitabilmente pieni di rimpianti.

Nei casi più gravi di overthinking si pensa così tanto che in un certo senso si vive più dentro i propri pensieri che nella vita reale. Rinchiusi nel nostro monologo interiore, non ci rendiamo conto di tutta la bellezza e le opportunità che abbiamo intorno.

Come scrive lo scrittore contemporaneo Jonathan Safran Foer:

Io penso, penso, penso e pensando sono uscito dalla felicità un milione di volte, e mai una volta che vi sia entrato”.

Insomma, è un bel problema quello della mente-scimmia impazzita. Un problema che ci trasciniamo dall’alba dei tempi: Seneca scriveva a Lucilio dei pericoli di una mente irrequieta ed esaltata e di quanto soffriamo “più per immaginazione che per realtà”.

Blaise Pascal, circa duemila anni dopo il Buddha, sosteneva che tutta l’infelicità dell’essere umano nasce dalla sua incapacità di stare solo con i propri pensieri in una stanza priva di distrazioni.

Controllare la propria mente e i propri pensieri è quindi di vitale importanza per riuscire a vivere una buona vita. Già, ma come si fa?

In tutti questi anni di lotta all’overthinking ho sviluppato cinque tecniche. L’ultima di queste in realtà me la insegnò proprio il monaco buddhista di Pai durante la nostra breve conversazione. È la più semplice, ma anche la più importante.

Ora, se la tua mente-scimmia impazzita ti sta urlando “che aspetti! Mica vorrai leggere tutto l’articolo, salta in fondo!” beh, questo è già un ottimo test per capire chi è al comando.

La tecnica della mente-scrittrice

Recentemente ho guardato un film, “The Sound of Metal”. Racconta di un batterista che un giorno perde quasi completamente l’udito. Senza preavviso e senza apparente motivo. In un paio di giorni la situazione precipita e diventa sordo. Si scopre che il ragazzo ha un passato di pesanti tossicodipendenze da cui è uscito a fatica non solo grazie alla musica ma anche all’amore della sua compagna. Da un giorno all’altro si ritrova in una comunità per persone non-udenti, senza poter vedere o parlare con la sua ragazza e senza la possibilità di sfogarsi sulla batteria.

Un ritorno nell’oblio delle droghe e dell’autodistruzione sembra inevitabile: la sua mente non gli dà tregua, è letteralmente una scimmia impazzita. Pensieri tremendi e incontrollabili gli affiorano costantemente e si ritrova a vivere in un perenne stato di agitazione.

Fortunatamente, il fondatore della comunità se ne accorge e lo costringe a fare qualcosa di molto particolare: ogni mattina all’alba, il ragazzo si deve svegliare e andare in una stanza dove ci sono una sedia, un tavolo, un taccuino, una penna e una tazza di caffè. Nient’altro.

Il suo compito è sedersi e scrivere.

Che cosa? Non ha importanza. Deve scrivere, scrivere e scrivere tutto ciò che vuole. Tutto ciò che riesce. Per quanto deve andare avanti? Il capo della comunità gli risponde: “Finché non sarai in grado di stare seduto tranquillo”.

Quando ho visto la scena, ho sorriso. Tim Ferriss chiama questa pratica “brain dump”. Per me è “la tecnica della mente-scrittrice”. Funziona così: scrivo sul foglio tutti i miei pensieri senza badare a punteggiatura, ortografia e all’eventuale mancanza di senso. L’unico obiettivo è quello di trasportare sulla carta il caos che ho nella testa.

Nessuno legge mai quello che scrivo, nemmeno io. Non strappo il foglio solo perché uso un taccuino ecologico e quindi cancello la pagina con uno straccio umido, ma il senso è quello: ti liberi e vai avanti con la tua vita.

Ogni volta che l’overthinking riaffiora, mi siedo al tavolo e scrivo finché la mente non si placa. O per dirla come nel film che ho citato, finché non riesco a stare fermo senza sentire il bisogno di fare qualcosa. È ciò che gli americani chiamano “stillness”, una parola che non sono mai riuscito a tradurre in modo efficace in italiano ma che indica una profonda pace mentale.

La tecnica del corpo consapevole

Non so se sia colpa del “penso quindi sono” di Cartesio, ma al giorno d’oggi ci identifichiamo quasi esclusivamente con la nostra mente. Forse perché passiamo sempre più ore davanti a uno schermo e ormai ci siamo abituati a lavorare, divertirci, flirtare, comunicare, creare e studiare senza muoverci dalla sedia su cui siamo seduti, ma sicuramente c’è una forte tendenza a vivere di pensiero e solo pensiero.

Questo è terreno fertile per l’overthinkinking.

Tuttavia, il fatto che questo problema si generi nella mente non significa che nella mente si trovi anche il suo antidoto. Pensare a come superare il troppo pensare potrebbe essere l’equivalente di spegnere un incendio con gavettoni di benzina.

La tecnica più universale che conosco per placare la mente-scimmia impazzita è concentrare la propria attenzione sul corpo. Serve a ricordarci che non siamo solo una mente e a smetterla di identificarci solo con i nostri pensieri: siamo anche un meraviglioso corpo!

Ci sono due fasi che seguo quando mi dedico a questa attività.

  • La prima è quella della consapevolezza. Mi fermo a praticare quello che nella meditazione mindfulness si chiama “body scan”: mi concentro nel sentire il mio corpo dalla punta delle dita dei miei piedi fino all’attaccatura dei miei capelli. Lentamente. Si può fare da seduti o camminando, ma da sdraiati è meglio.
  • Se il “body scan” non è stato sufficiente, pratico un’attività fisica di breve durata ma ad alta intensità. So che Andrea è piuttosto in fissa con il monitoraggio del battito cardiaco, quindi saprebbe spiegare scientificamente il motivo per cui funziona. Io so solo che dopo qualche centinaio di jumping jacks o dopo qualche minuto di corsa a perdifiato, il mio corpo reclama tutte le attenzioni. Quando sono piegato in due con il fiatone, non c’è davvero un briciolo di energia da dedicare al troppo pensare. Le liane sono state tagliate, la mente-scimmia non può più aggrapparsi a niente.

La tecnica di Marie Kondo

Marie Kondo è una adorabile donna giapponese. È minuta, ha un portamento pieno di grazia e una frangetta così dritta da sembrare disegnata con un righello. È diventata celebre qualche anno fa grazie a un manuale di economia domestica che ha permesso ai maniaci dell’ordine di ogni parte del mondo di sentirsi legittimati nella loro ossessione.

Ovviamente sto scherzando. Stimo molto Marie Kondo perché il metodo che promuove riflette diverse idee in cui credo fortemente: il minimalismo come stile di vita, l’importanza di dare il giusto valore agli oggetti affinché siamo sempre noi a possederli e mai il contrario, l’essenzialismo e la gratitudine che deriva dall’avere quel poco che significa tutto.

Ciò che più condivido della sua filosofia è un concetto tipicamente orientale: l’importanza di tenere ordinato il proprio spazio esteriore affinché sia ordinato anche il nostro mondo interiore. Quando scrivo “spazio esteriore” mi riferisco ai luoghi che abitiamo quotidianamente: casa, ufficio, automobile.

So cosa stai pensando: non fa per me. È la stessa cosa che avrei pensato se me lo avessero proposto dieci anni fa, quando vivevo in una casa condivisa in Australia e in ogni momento della giornata la mia stanza sembrava aver appena subito un’ispezione da parte delle forze dell’ordine. Eppure posso assicurarti che attraverso la pratica di riordinare il mondo intorno a me ho scoperto che anche la mia mente ritrova ordine. Meno caos fuori significa meno caos dentro.

Prima di mettermi a lavorare, quindi, dedico qualche minuto a ordinare il mio spazio di lavoro. Faccio lo stesso con lo spazio in cui cucino, dopo colazione, pranzo e cena. Infine, riporto ordine nella stanza da letto prima di andare a dormire e appena sveglio.

Attraverso questa semplice abitudine ho capito che la mente ama l’ordine. Se le diamo ordine, la scimmia non impazzisce.

La tecnica della scimmia distratta

A volte la scimmia non va calmata, ma distratta. In certi casi, infatti, l’eccitazione mentale è troppo forte per riuscire a fermarla con i metodi che ho appena condiviso. C’è troppa energia a livello intellettivo e bisogna provare a incanalarla altrove.

Le attività giuste per riuscirci sono numerose, ma devono soddisfare questi due requisiti:

  • Devono essere attive e non passive. Niente televisione, smartphone o libri. La mente non deve ricevere alcunché, perché è già intasata. La mente deve dare.
  • Devono essere coinvolgenti. Niente di troppo noioso e poco impegnativo, niente di troppo complesso ed eccessivamente sfidante.

L’arte ci viene in soccorso. Disegnare, suonare uno strumento musicale o ballare sono attività che aiutano a entrare nel cosiddetto “flow”, in quel flusso in cui non esiste altro se non quello che si sta facendo qui e ora. Un altro ottimo metodo è il gioco: videogames, carte, puzzle, sudoku, il tuo animale domestico, insomma qualsiasi cosa ti piaccia fare.

Ti sei mai chiesto perché i bambini non soffrono di overthinking?

Non sono mica stupidi, anche loro sanno pensare. Però, rispetto a noi, loro sanno anche giocare. Sono autorizzati a farlo e lo fanno più che volentieri. Dal momento che nessuno ci ha mai negato l’autorizzazione a giocare anche da adulti, dovremmo concederci questa possibilità. Scegli tu il gioco, ma gioca. Perché quando lo fai, non c’è spazio per rimuginare su alcunché. Giocare è una cosa seria.

La tecnica zen

Ed eccoci qui, a chiudere il cerchio di questo articolo. Torniamo a Pai, sotto all’enorme statua del Buddha bianco. Siamo seduti sotto a un piccolo patio e davanti a noi c’è il monaco buddhista avvolto nella tunica arancione. Gli abbiamo appena chiesto un consiglio per pensare meno e pensare meglio.

Posso immaginare che molte persone, leggendo questo articolo, stiano pensando che il suo suggerimento fosse di iniziare a meditare. Non è così. E il motivo per cui non ho inserito la meditazione tra gli strumenti per combattere l’overthinking è che secondo me funziona solo se si è in grado di padroneggiare questa tecnica. Contrariamente a ciò che molti credono, la meditazione non significa annullare i pensieri, ma osservarli senza giudizio. Se soffri di overthinking e non hai mai meditato, fermarti e sederti con gli occhi chiusi restando in silenzio significa non solo far impazzire la scimmia ma anche farla inc****re. Funziona se uno ha già una certa predisposizione alla meditazione (ma allora non dovrebbe soffrire molto l’overthinking) oppure la pratica da tempo e sa come praticarla correttamente.

Le tecniche qui sopra sono volontariamente attive. E lo stesso vale per quella che mi suggerì il monaco.

“Fai una cosa per volta”, disse.

Restammo in silenzio per un po’. Poi mi sporsi verso di lui.

“Temo di non aver capito”, replicai con un sopracciglio alzato.

Lui sorrise. Poi disse:

“Quando cucini, cucini. Quando mangi, mangi. Quando riposi, riposi. Quando parli, parli. Quando cammini, cammini. Quando leggi, leggi. Quando lavori, lavori. Quando mediti, mediti. Quando usi il telefono, usi il telefono. Quando sali gli scalini, sali gli scalini. Quando bevi il tè, bevi il tè. Non cucinare mentre mangi. Non leggere mentre riposi. Non parlare mentre bevi il tè. Non salire gli scalini mentre usi il telefono. Ogni cosa che fai, dalla più piccola alla più grande, falla come se fosse il compito più importante che ci sia”.

Poi mi ringraziò per la chiacchierata, si alzò, mi salutò e camminò beato verso la gigantesca statua del Buddha costruita sulla parete verdissima delle colline intorno a Pai.

Sono passati giorni, settimane e anni da allora. È passata molta acqua sotto i ponti della mia vita. E ora, mentre scrivo queste righe da una soleggiata località sulla costa occidentale dello Sri Lanka, mentirei se dicessi di aver capito pienamente il motivo per cui mi diede quel suggerimento.

Forse il suo era semplicemente un invito alla lentezza, perché è nella lentezza che fiorisce la consapevolezza: come puoi conoscere la vita se non rallenti per osservarla? Come puoi conoscere te stesso se fai mille cose tutte insieme? La velocità è eccitante e a volte è anche necessaria, ma quasi sempre genera agitazione.

Qualche tempo fa, leggendo in un libro sulla dipendenza da smartphone, ho scoperto che il multitasking in realtà non esiste: non siamo in grado di fare più di una cosa per volta, perché la nostra mente non è in grado di avere due pensieri nello stesso momento. Quello che chiamiamo “multitasking” è in realtà il “task-switching”, ovvero passare velocissimamente da un pensiero all’altro, da un’attività all’altra. Ci illudiamo di poter fare più cose contemporaneamente, ma la verità è che stiamo saltando furiosamente proprio come la mente-scimmia impazzita salta da una liana all’altra dentro la nostra testa.

Forse voleva dirmi questo il monaco buddhista di Pai: l’agitazione mentale nasce dal voler fare qualcosa che non si può fare. Fai una cosa per volta e starai bene. L’unica cosa che so è che quel semplice consiglio ha funzionato.

Innanzitutto ha migliorato notevolmente la mia produttività e la mia concentrazione: in questi anni sono riuscito a scrivere centinaia di articoli per il mio blog, portare avanti molti progetti e vedere quattro miei libri pubblicati dalla più grande casa editrice italiana.

Ma al di là dei risultati lavorativi, ciò che più conta è che oggi la mia mente non è più una pericolosa giungla in cui perdersi. Mi piace immaginarla invece come un curatissimo giardino zen, un luogo ordinato e pacifico. Così la sento. Certo, ogni tanto la scimmia impazzita arriva ancora. Urla e distrugge i mandala disegnati sulla sabbia, dissotterra le zolle sul prato all’inglese e cerca di afferrare le carpe che nuotano pacifiche nell’acqua del laghetto artificiale. Però avviene di rado e dura sempre meno.

Personalmente una qualsiasi delle prime quattro tecniche che ho condiviso qui sopra è sufficiente a sconfiggere l’overthinking, purché venga sempre applicata anche l’ultima: fai una sola cosa per volta.

Questa è la base di tutto: un obiettivo alla volta, un’attività alla volta, un pensiero alla volta. Si perde un po’ di velocità ma si guadagna in lucidità, serenità, consapevolezza. L’armonia della semplicità allontana il rumore della complessità. Si prendono decisioni migliori perché se ne prendono meno. Si vive più intensamente il momento presente e si affronta la vita con più tranquillità e pace interiore.

A fare una sola cosa per volta, tutto è più sotto controllo. E in fondo, considerando quanto può essere caotica e imprevedibile la vita, non è forse questo ciò che ognuno di noi desidera davvero?

***

Ringrazio sinceramente Gianluca per questo suo prezioso contributo. Tu quale delle tecniche di Gianluca testerai per prime per tenere a bada la tua “scimmia impazzita”?

Ps. Se ti sei innamorato anche tu della pace che sono in grado di trasmettere le parole di Gianluca, ti stra-consiglio di leggere il suo libro: “Succede sempre qualcosa di meraviglioso” un romanzo che raccoglie numerose lezioni del buddhismo zen. Davvero bello!

Andrea Giuliodori.

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Gianluca Gotto nasce a Torino nel 1990. A vent’anni si trasferisce prima in Australia, poi in Canada. Oggi è un nomade digitale: scrive articoli e libri mentre viaggia per il mondo, specialmente in Asia. Sul suo account Instagram e sul suo blog “Mang...

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Dani

Grazie! Bellissimo articolo!

Andrea Giuliodori

Vero? 😊

Elena

Caro Andrea, sempre preziosi gli spunti che ci suggerisci. Questa scimmia impazzita era riuscita a prendere il sopravvento, ma grazie alle tue gocce, piano piano, piano, una dopo l’altra, si sono insinuare nella mia mente, hanno scavato nel profondo e con l’ordine, la disciplina e la perseveranza stanno compiendo il miracolo della consapevolezza di vivere, lentamente assaporando ogni istante, mantenendo una serenità mai raggiunta prima. Ovviamente come dice Giuanluca, non si sconfigge la scimmia per sempre, ma di sicuro gli ho tolto lo scettro della mia vita.
Grazie per il prezioso contributo.

Andrea Giuliodori

Ma che bello, grazie a te per questo commento Elena!

Luigi

un ottima occasione per un buon ripasso…. ottimo articolo!

Andrea Giuliodori

:) non guastano mai!

Bruna

Bellissimo articolo, proverò i tuoi consigli perché io non ho 1 scimmia impazzi ta, ma ne i 2 o 3…. Dei tuoi consigli solo 2 credo che siano difficili x me, quello sul riordinare me stessa e casa o ufficio che sia perché io sono anche ossessiva compulsiva e quindi riordinare x me è un incubo soprattutto mentale e per me stessa. L’altro e su sentire il mio corpo, il dover stare ferma e cercare di sentirmi x me è impossibile, e come dicevi tu x la meditazione oltre a impazzire le scimmie si Inc……. Io per tranquillizzarmi uso già tecniche tipo puzzle, giochi o ballare ma più delle volte con altre cose, tipo puzzle mentre guardo TV idem x i giochi , ballo ma nello stesso tempo i miei pensieri volano. Cmq proverò davvero a seguire i tuoi consigli magari vincendo la mia mente grazie

Giorgio Damiani

L’articolo è molto bello e mi piace osservare che pratico da anni tutti i suggerimenti presi. Anche grazie a 365 e C.H.A.N.G.E.

Mio padre mi ha sempre detto che se mi mettesse davanti tutto il pane che mangerò nella vita, non ci crederei. Eppure un morso alla volta (un output alla volta…).

Così sono passato da un lavoro senza sbocchi a prendere in mano tutta la qualità di una piccola multinazionale a cui sto facendo fare quello che chiamo “il viaggio della qualità”.

Io comunque suggerirei a tutti di farsi il corso di mindfulness, sono 8 giornate e spiega molto di quello detto nell’articolo.

Vorrei spezzare una lancia a favore degli overthinker pur d’accordo che la scimmia va addestrata. I miei collaboratori migliori sono overthinker, a volte devo frenarli e frenare me stesso, ma sono persone che ci tengono, che non mollano, che rendono possibili risultati straordinari in condizioni precarie. A volte a costo della loro freschezza mentale. Li preferisco sempre agli “underthinker” che vanno trascinati.

A tal proposito sarebbe bello un articolo di chi è riuscito a portare questa capacità di “addestrare la scimmia” all’interno di organizzazioni complesse, trasmettendolo ad altre persone. Penso a comandanti, mentori, leader, allenatori. Non solo capi.

E’ già un risultato notevole applicare tutto questo su di sé. E’ un effetto incredibile riuscire a trasmetterlo alle organizzazioni.

Grazie

Celeste

Vero sarebbe molto interessante questo aspetto all’interno delle organizzazioni. Da futura psicologa del lavoro e delle organizzazioni mi incuriosisce molto😊

Andrea Giuliodori

Concordo!

Andrea Giuliodori

Molto bella l’immagine di tuo padre Giorgio, l’ho trovata fonte di ispirazione!

Giorgio Damiani

Stupidamente ci ho messo un sacco a capire la sua semplice saggezza. Per fortuna sono ancora in tempo per dirglielo.

Andrea Giuliodori

:)

Stefano Reali

Grazie per il bell’articolo, Andrea e Gianluca!
Personalmente, da persona abbastanza disordinata (mi sono sciupato nel crescere, ero ordinatissimo da bambino, sigh!), sono affascinato dalla tecnica di Marie Kondo.
A proposito poi del fare una cosa alla volta, penso che addirittura non ci si perda nemmeno in velocità, come molti credono, anzi se ne guadagni. Quello che Gianluca chiama task-switching consuma infatti molto tempo e, soprattutto, concentrazione.
Anche nel mondo dei computer, dove il concetto di multitasking è nato e si è sviluppato, il cosiddetto context switch impegna risorse, figuriamoci nelle nostre povere menti-scimmia impazzite.

Andrea Giuliodori

Grazie Stefano, sì, il concetto di context switching è un concetto che ben conoscono i lettori di “Riconquista il tuo tempo” e il corsisti di “Crea Tempo” :)

Celeste

Grazie Andrea per questo articolo di Gianluca.
Ho avuto modo di conoscerlo grazie ad una ragazza “libraia” che parlava dei suoi libri e non so perché mi sono sentita subito attratta da questo modo diverso di approcciare alla vita.
Come ho scritto in risposta ad una mail di Andrea, anche questo articolo arriva al momento giusto.
In considerazione di essere assolutamente “affetta” da overthinking, voler essere veloce e di voler fare mille cose tutte insieme, credo che partirò dall’ultimo suggerimento: fare una cosa sola alla volta. Ovviamente amando anche io scrivere, una delle mie passioni che per il momento è ancora solo un’attività a cui mi dedico nel tempo libero, anche il suggerimento della mente scrittrice può essermi d’aiuto.
Grazie davvero per questa importante condivisione!

Andrea Giuliodori

Sono felice che ti sia piaciuto Celeste :)

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